Lucio Dalla, 4 marzo 1943
Una delle canzoni più amate del cantautore bolognese, scomparso il 1° marzo 2012
di Enrico Daniele
Oggi, Lucio Dalla avrebbe compiuto 77 anni. Infatti, lo straordinario ed eclettico cantautore era nato a Bologna il 4 marzo del 1943.
La sua morte improvvisa, per infarto, era avvenuta nella notte del 1° marzo 2012 a Montreux, cittadina Svizzera affacciata sul Lago di Ginevra, dove Dalla si era esibito la sera prima.
“4 marzo 1943”, contrariamente a quanto si possa pensare, non è una canzone autobiografica. Scritta in collaborazione con Paola Pallottino (della paroliera romana altri famosi brani di Dalla: “Il gigante e la bambina”, “Il bambino di fumo”, “Un uomo come me” e “Anna Bellanna”) racconta la storia di una ragazza madre, rimasta incinta per un amore passeggero con un soldato alleato.
Prima dell’uscita al Festival di Sanremo del 1971, cantata anche dall’Equipe 84 e classificatasi terza, la canzone subì la pesante scure della censura sia nel titolo, inizialmente “Gesubambino”, che nel testo. Il brano, nella stesura originale, era stato presentato da Dalla nel dicembre del 1970 al Duse di Bologna, dove la frase “E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino” era invece “E anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino”.
Sono molte le versioni della canzone.
All’estero è stata portata al successo da Maria Betania e Chico Buaque de Hollanda, nei paesi di lingua spagnola. Una versione fu cantata anche da Dalida e un’altra da Francesco De Gregori che la pubblicò col testo originale nell’album “Sotto il vulcano”.
“4 marzo 1943” resta uno dei brani simbolo che, al pari dello zucchetto di lana e degli occhiali tondi, rappresentano l’icona caratteristica del grande e amato cantautore bolognese.
Il testo di “4 marzo 1943”:
Dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare
parlava un’altra lingua, però sapeva amare
e quel giorno lui prese a mia madre, sopra un bel prato
l’ora più dolce, prima d’essere ammazzato.
Così lei restò sola nella stanza, la stanza sul porto
con l’unico vestito, ogni giorno più corto
e benché non sapesse il nome e neppure il paese
mi aspettò come un dono d’amore, fino dal primo mese.
Compiva sedici anni, quel giorno la mia mamma
le strofe di taverna, le cantò a ninna nanna
e stringendomi al petto che sapeva, sapeva di mare
giocava a far la donna, col bambino da fasciare.
E forse fu per gioco, e forse per amore
che mi volle chiamare, come Nostro Signore
della sua breve vita il ricordo, il ricordo più grosso
è tutto in questo nome, che io mi porto addosso
e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino
per la gente del porto io sono, Gesù Bambino
e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino
per la gente del porto io sono, Gesù Bambino.
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