Back to the origins

Grazie all’invito di Michele del Parco Prandina, Venerdì 23 Agosto 2024 dalle ore 19.30 avrò l’opportunità, dopo tanti anni, di ripresentarmi al pubblico dietro una consolle dj.

“DallAmeriCaruso. Il concerto perduto”

Per gli 80 anni dalla nascita di Lucio Dalla il docu-film sarà nelle sale cinematografiche il 20, 21 e 22 novembre.
A Padova al Porto Astra, al Lux e al The Space Cinema di Limena.
di Enrico DANIELE
(fonte Radio Capital)

La copertina del vinile in ristampa

Era il 1986 e al Village Gate di New York, che fu tempio del jazz, Lucio Dalla si esibiva in uno straordinario concerto live le cui riprese, in parte perdute, sono state recuperate, restaurate e rimasterizzate, ora a disposizione del pubblico nei giorni 20, 21 e 22 novembre in moltissime sale italiane.

A 80 anni dalla nascita, questo è l’ennesimo tributo al grande artista bolognese, scomparso a Montreux (sede di un celebratissimo festival jazz) il 1° marzo del 2012.
Il film, per la regia di Walter Veltroni, ripercorre i momenti magici di quel concerto, ma racconta anche la genesi di “Caruso”, brano portante dell’album “DallAmeriCaruso”, pietra miliare della discografia di Dalla con più di 38 milioni di copie vendute nel mondo.
Dalla scrisse la canzone successivamente al concerto live di New York.

Si trovava al largo del golfo di Sorrento, quando restò in panne col “Catarro”, la sua barca, e fu rimorchiato in porto. Trascorse la notte all’Hotel Excelsior dove alloggiò nella stanza che fu di Enrico Caruso. Dal racconto che ne fece il barista dell’hotel, nacquero testo e musica della canzone che è un tributo ad un amore “impossibile” (la leggenda vuole che Caruso, ormai malato ed in fin di vita si fosse innamorato di una sua allieva), ma anche un inno alla canzone napoletana e melodica italiana.

Un capolavoro che mancava al live registrato a New York, che Dalla introdusse cambiando il nome originario all’album (DallAmerica) che diventò appunto “DallAmeriCaruso”, dove Dalla è accompagnato dalla sua band, gli Stadio.

Nel docu-film sono molti i personaggi che danno la loro testimonianza, ripercorrendo sia i momenti del concerto live ma anche quelli della scrittura di “Caruso”.
Per gli appassionati, è prevista anche l’uscita (il 1° dicembre – Sony Music) di un doppio cd, un doppio vinile (una versione in nero e una colorata) del concerto dal titolo “DallAmeriCaruso – Live at Village Gate, New York 23/03/1986”.

Luna Rossa: Harry Hole ha fatto tredici.

di Enrico Daniele.

Luna Rossa“, edito da Einaudi e uscito in Italia il 9 maggio 2023, è il tredicesimo capitolo della saga di Harry Hole, poliziotto della squadra anticrimine di Oslo.

Nato dalla florida penna di Jo Nesbø, nell’ultimo romanzo leggiamo di un Hole uscito dalla polizia e trasferitosi a Los Angeles, distante dal suo tormentato passato e dagli incubi di un vissuto che gli ha lasciato lividi indelebili: nel volto, la lunga cicatrice color fegato e due occhi perennemente iniettati di sangue, e nella mente, il ricordo fisso di Rakel, l’unica donna che abbia amato veramente, e quello dell’amico Bjorn, entrambi tragicamente scomparsi.
Senza più nulla – o quasi – per cui valga ancora la pena di vivere, Hole si rassegna al solo progetto di bere sino ad uccidersi.

Ma nella città californiana dopo l’incontro con Lucille, una vecchia ex attrice condannata a morte dal clan della droga per un enorme debito insoluto, Hole ritrova lo stimolo a procrastinare la sua voglia di oblio per aiutarla, riuscendo a posticipare la scadenza di pagamento, anche se solo di sette giorni.

Per recuperare il denaro che salverebbe Lucille, accetta malvolentieri l’incarico per dimostrare l’innocenza di Markus Røed, un ricco norvegese dalla doppia personalità, accusato del raccapricciante omicidio di due ragazze, ma l’unico in grado di sborsare l’ingente somma.

Harry indossa nuovamente i panni dell’investigatore diventato un mito tra gli allievi della scuola di polizia di Oslo, stavolta però in indagini parallele alla squadra Anticrimine, ora guidata da Katrine Bratt (che scopriremo essere molto più che una sua ex collega) e aiutato da una squadra formata da amici fidati e da un ex collega corrotto.

Teatro la solita Oslo dove, in rapidissima successione perché il tempo per salvare l’amica è poco, appariranno tutti gli elementi che hanno contraddistinto la saga dei romanzi incentrati su Hole: l’immancabile criminale pazzo, rancoroso e raccapricciante omicida, le storie parallele di personaggi che vivono nel romanzo in un continuo intercalare di scene, e alcune sorprese che ci fanno scoprire un lato sconosciuto di Hole, lasciando spazio a futuri sviluppi della fortunata saga.

In “Luna Rossa” Nesbø ci porta sino ai limiti estremi del thriller classico, sfiorando l’horror senza tuttavia valicarne la soglia, impressionando per l’accuratezza nel descrivere nei minimi dettagli le vicende, anche le più crude, che il lettore vede nette, chiare come in un film. Precisa l’introspettiva delle personalità dei protagonisti e l’intreccio delle storie che fanno di “Luna Rossa”, a mio parere, uno tra i più bei romanzi della saga di Harry Hole.

Ricordando Lucio Battisti

Lucio Battisti (foto dal sito Raiplay)

di Angelo Volpe

(tutte le immagini sono tratte dal sito Raiplay)

Pochi giorni fa ricorreva il 25.mo dalla scomparsa di Lucio Battisti. Su Raiplay è disponibile un interessantissimo documentario che ne fa un ritratto, per parole, musica e immagini, con il contributo di quanti con lui hanno collaborato negli anni d’oro della sua carriera. Primo fra tutti Giulio Rapetti, in arte Mogol, l’autore-poeta per antonomasia delle sue canzoni. Quelle che lo hanno consacrato per sempre nei cuori di chi lo amava e apprezzava.
Nato nel 1943, oggi sarebbe ottantenne se una malattia (mai chiarita ufficialmente, sembra fosse un linfoma al fegato) non se lo portò via nel 1998 a soli 55 anni. I suoi album (33 giri) e i suoi singoli (45 giri) hanno coperto un arco di tempo che va dalla metà degli anni 60 fino al 1994, data di pubblicazione del suo ultimo disco. L’apice del suo successo furono gli anni 70, dalla pubblicazione dell’album Emozioni in poi. Già sul finire di quel decennio la parabola del suo successo cominciò la fase discendente. Un piccolo, ma inesorabile declino, dovuto principalmente alla rottura del suo sodalizio con Mogol.

Giulio Rapetti, in arte Mogol: un indimenticabile, lungo e proficuo sodalizio con Battisti. (foto dal sito Raiplay)

La carriera di Battisti è infatti divisa in due tronconi, il periodo con Mogol e quello con Pasquale Panella. Chissà, probabilmente il cambio del paroliere-poeta ruppe qualcosa nello spirito creativo di Lucio, forse con Mogol si era creata una intesa e una armonia umana e artistica irripetibile. Fatto è che il successo dei primi anni 70 non tornerà più.

Lucio è un cantautore entrato di prepotenza nella storia della musica italiana e nei cuori di una generazione di italiani. La mia generazione. Quegli anni segnarono l’esplosione del fenomeno dei cantautori, basti ricordare un paio di nomi fra tutti: Francesco De Gregori e Francesco Guccini. Artisti molto diversi tra loro per stili musicali e tematiche, figli, ciascuno in modo proprio, di quegli anni difficili di grande turbamento sociale.
Lucio Battisti ha segnato un’epoca e una generazione, ma il suo estro e la sua poetica sono andati oltre. Tant’è che ancora oggi ne parliamo, lo celebriamo e ascoltiamo le sue canzoni. Credo che anche le nuove generazioni non siano immuni al fascino di Lucio Battisti. Sarebbe interessante sapere se vi siano dei sondaggi che ci dicano se e quanto Lucio sia conosciuto e apprezzato oggi. Personalmente, quando mi succede di sentire alcuni dei suoi brani, ancora oggi sento una stretta al cuore come quando ero ragazzo e andavo al liceo.
Grazie Lucio (e grazie Mogol).

Il giovane Montalbano

di Angelo Volpe
(immagine di copertina dal sito Raiplay)

Michele Riondino, attore protagonista nella fiction Rai “Il giovane Montalbano” (foto dal sito supereva.it)

L’ altra sera è andata in onda su Rai 1 la replica de Il giovane Montalbano, il prequel del 2015 della serie Il commissario Montalbano che ne riprende le vicende tornando indietro nel tempo a quando Montalbano era un giovane commissario alle prime armi. Ovviamente sempre tutto nato dalla penna del maestro Camilleri.
A distanza di non pochi anni dal primo passaggio tv rimane ancora un prodotto ben fatto, che si lascia guardare e godere facilmente. Avercene…! In mezzo a tutto quel ciarpame che è la produzione di fiction della Rai è una specie di mosca bianca.
A chi se lo fosse perso suggerisco lo streaming gratuito su Raiplay, anche perché privo di interruzioni pubblicitarie.
Michele Riondino e Sarah Felberbaum sono perfetti nelle loro parti (Salvo e Livia) e Sarah in particolare è forse la migliore Livia dell’intera produzione, anche del Montalbano “vecchio”, che di interpreti di Livia ne ha cambiate anche troppe e spesso non con lo stesso appeal.
Purtroppo su Raiplay non ho trovato la serie principale, ormai storica, con Luca Zingaretti. Non avendo visto le numerosissime repliche andate in onda e quindi mi piacerebbe molto rivederla. Speriamo che prima o poi venga resa disponibile anch’essa in streaming.
P. S. Si è capito che sono un fan di Montalbano e del maestro Camilleri, sia nella versione televisiva che letteraria… ?

RAFFA, il ritratto inedito di un’icona senza tempo

Da venerdì 7 nelle sale padovane, RAFFA il docufilm che racconta la parabola artistica di Raffaella Pelloni, in arte Raffaella Carrà.

Daniele Lucchetti, che ne ha curato la regia, negli oltre 180 minuti del film racconta in maniera esaustiva e puntuale la storia dell’artista riminese (era nata a Bellaria) che proprio quest’anno avrebbe compiuto gli ottant’anni, esattamente come altri due celebratissimi miti, Dalla e Battisti.

Oltre 1500 immagini di repertorio e il racconto di chi l’ha conosciuta da vicino esaltano la figura di un personaggio diventato icona nazional popolare: Rosario Fiorello, Barbara Boncompagni, Salvo Guercio, Caterina Rita, un commosso Tiziano Ferro, Nick Cerioni, Enzo Paolo Turchi – che l’ha accompagnata in migliaia di balletti e Bob Sinclar, che ha realizzato un azzeccatissimo remix di uno dei tormentoni della Carrà – A far l’amore comincia tu – che spopola in tutte le radio.

Divisa in tre parti, la storia inizia con la partenza di Raffaella da Bellaria per Roma con la madre, in cerca di fortuna, ma in assenza del padre, che aveva abbandonato la famiglia disinteressandone totalmente (un richiamo, quest’ultimo, che durante il docufilm viene ripetuto più e più volte, a mio parere fin troppe. Come altrettante volte viene rimarcato il carattere deciso e autoritario della mamma).

Il racconto intreccia continuamente il “pubblico” e il “privato” di Raffaella dove, tuttavia, è sempre la Pelloni a prendere il comando sulla Carrà, determinata e ostinata a perseguire i suoi obiettivi, mentre della Pelloni privata non traspare praticamente nulla, tanto alto era il muro eretto dalla Carrà a protezione della sua sfera privata.

E così la sua trasferta in America, per tentare la strada del cinema, risulta una parentesi che non le dà troppa soddisfazione, mentre al ritorno in Italia, in Rai Raffaella porta innovazioni che a quel tempo fecero gridare allo scandalo i perbenisti: il balletto del “Tuca Tuca” con Enzo Paolo Turchi e l’ombelico in bella vista di Raffaella viene messo alla gogna dalla censura ma prontamente svincolato dall’Albertone nazionale che ne sdrammatizza il significato durante una famosissima puntata di Canzonissima del 1971. Lo sdoganamento dell’ombelico spiana la strada del successo alla Carrà che inanella un’affermazoone dietro l’altra. Finché non si stanca e cerca altri stimoli.

Si trasferisce in Spagna dove la accolgono grazie all’eco dei successi italiani e la fanno diventare immediatamente una star, anche a scapito delle artiste spagnole, che non la prendono proprio bene, ancora ingessate come erano nelle riproposizioni delle danze tradizionali.

E di nuovo il ritorno in Italia, in Rai, poi a Mediaset dove Berlusconi sta lanciando le sue tv con il “trash”che le ha contraddistinte e dove la Carrà ne diventa una (involontaria?) interprete.

E nuovamente il ritorno in RAI in una nuova veste e in una nuova fascia oraria. Con “Pronto Raffaella?” la Carrà entra nelle case degli italiani a mezzogiorno, orario assolutamente insolito per una show girl del suo calibro, che tuttavia – come le altre volte – aveva colto il momento di cambiare il proprio registro artistico. Un successo che la farà diventare sorella, mamma, moglie, compagna degli italiani incollati al teleschermo e con la cornetta in mano, nell’improbabile tentativo di indovinare il contenuto in fagioli della boccia di vetro. Con “Carramba che sorpresa” l’apice dell’ultima parte della carriera artistica di Raffaella che nel programma rivela tutto il suo lato umano nell’aiutare le persone a reincontrarsi e, in alcuni casi, a riappacificarsi.

Tre ore che passano veloci come una sorta di megaTecheté, che meritano la visione perché ci restituiscono una Carrà che non vorremmo dimenticare e far conoscere alle future generazioni.

Enrico Daniele

La scomparsa di Damiano Bianchi

Anche noi abbiamo ricevuto la tragica notizia della scomparsa, lunedì 7 marzo 2022 di Damiano Bianchi, trentenne batterista jazz di Selvazzano Dentro, vittima di un incidente nelle acque del fiume Astico nel vicentino. La dinamica non è chiara, tuttavia pare che Damiano sia scivolato sulle rocce e caduto in un punto dove il fiume è piuttosto profondo. Così si evince dalle cronache riportate sui quotidiani.

Damiano (primo a sinistra nella foto di copertina) era da poco diplomato al conservatorio ed era un ottimo batterista, stimato dai tanti colleghi che lo hanno ricordato con numerosi post sui social. “Un giovane raffinato e talentuoso” come lo definisce Paola Bianchi, zia di Damiano, che ci ha pregato di pubblicare alcune foto in sua memoria, scattate durante un concerto all’ospedale Fracastoro di San Bonifacio (VR).

Lo facciamo molto volentieri unendoci al cordoglio della famiglia.

 

Schermarena event: Laura Pirri inaugura il nuovo contenitore di sport e cultura

Sarà il primo evento dell’estate 2021 nella nuova sede di Padova Scherma.

Laura Pirri: a lei il compito di inaugurare la Schermarena event.

di Enrico Daniele.    

Padova Scherma è la società sportiva che porta in eredità la grande tradizione schermistica padovana. Le sue radici, infatti, affondano sin nel 1969, anno in cui all’Antonianum di Padova venne costituita per la prima volta la divisione schermistica della U.S. Petrarca.

Nell’estate del 2021, Padova Scherma si è data una nuova immagine e una nuova sede, più razionale e mirata allo sviluppo del nuovo progetto sportivo.
Non solo sport però. C’è dell’altro.

Ci sembra importante – ci dice il presidente di Padova Scherma Alessandro Stefanellodare l’opportunità a tutti di riconquistare attraverso lo sport e la cultura un ambito di convivialità e solidarietà.  Apriamo i nostri spazi per questo”.

Nasce così “Schermarena event”, un contenitore che vuole coniugare questi due aspetti di sana aggregazione.

Giovedì 22 luglio, infatti, nell’arena posta all’esterno della sala di allenamento, si terrà il primo evento musicale e per l’occasione sul grande palco si esibirà Laura Pirri, interprete che non ha bisogno certo di presentazioni (clicca qui per la biografia completa)

Nota al pubblico per le sue straordinarie doti canore, che le permettono di spaziare agevolmente nell’impegnativo repertorio di pilastri della musica italiana come Mina e Battisti, per l’occasione la Pirri allargherà l’orizzonte sul pop italiano e internazionale, ma anche sul rock e nel soul, altro punto forte della brava cantante padovana.

Ad accompagnarla tre musicisti di spessore: alla chitarra Simone Bortolami, al basso il suo compagno nella vita, Carlo Rubini, mentre alle percussioni troveremo l’eclettico Alessandro Arcolin.

L’evento si svolgerà nel pieno rispetto delle normative Covid-19, motivo per cui è richiesta la prenotazione, al fine di gestire al meglio la serata.

La ristorazione sarà affidata a Cinzia e Piero Mariotto che saranno presenti con il loro caratteristico furgoncino da street food “La Paella di Piero”.

Il furgo-food di Cinzia e Piero Mariotto: una paella d’autore

IN CASO DI MALTEMPO LA SERATA SARA’ POSTICIPATA AL 29 LUGLIO

Per info e prenotazioni:
Enrico 347 536 80 40   info@musikkoman.it
Alessandro 366 929 20 73 info@padovascherma.it

La Paella di Piero: clicca qui per tutte le info

PER TROVARCI E’ FACILISSIMO
Clicca qui per raggiungerci agevolmente con Google Maps 

“I was shot, i was shot…”

Probabilmente le ultime parole di John Lennon assassinato 40 anni fa.
di Enrico Daniele.    

La foto scattata da Annie Leibovitz per la copertina di Rolling Stone la mattina prima dell’omicidio di Lennon.

8-12-80 New York City, ore 22:50.
John Lennon e la moglie Yoko Ono scendono dalla loro limousine davanti all’ingresso del Dakota Building, la loro residenza cittadina.

Era stata una intensa giornata di lavoro per la coppia: seduta fotografica con Annie Leibovitz per la copertina di Rolling Stone, un’intervista rilasciata al dj di San Francisco, Dave Sholin, per la RKO Radio Network e le registrazioni ai Record Plant Studios protrattesi sino a tarda sera.

Perciò, prima di recarsi a cena con la moglie, Lennon vuole dare un saluto al piccolo Sean di cinque anni.

Nascosto nell’ombra, dopo ore di attesa, l’ex guardia giurata Mark Chapman incontra con lo sguardo Lennon. L’ex Beatles dà l’impressione di riconoscerlo (nello stesso giorno, infatti, gli aveva autografato un disco) e, fatti pochi passi, viene raggiunto alla schiena da quattro colpi di revolver sparati da Chapman, uno dei quali gli trancia inesorabilmente l’aorta. Tuttavia, Lennon ha la forza di salire pochi gradini e pronunciare le sue ultime parole al guardiano del palazzo: “I was shot, i was shot” – mi hanno sparato, mi hanno sparato – prima di cadere al suolo e perdere i sensi.  Trasportato d’urgenza al Roosevelt Hospital,  nella sala del pronto soccorso risulteranno inutili i tentativi di rianimarlo e alle 23:15 Lennon verrà dichiarato morto.

Aveva compiuto 40 anni solo qualche mese prima e oggi ne sono passati altri 40, ma il mito di John Lennon rimane inalterato e l’ex Beatles che voleva cambiare il mondo predicando la pace e l’unità, continua ancora oggi ad essere ispirazione per i giovani di ogni età.

Mark Chapman nelle foto segnaletiche della polizia di New York dopo l’arresto.

“Ero un nulla totale e il mio unico modo per diventare qualcuno era uccidere l’uomo più famoso del mondo, Lennon. – le dichiarazioni di Chapman anni dopo l’omicidio – Eravamo come due treni che correvano l’uno contro l’altro sullo stesso binario. Il suo “tutto” e il mio “nulla” hanno finito per scontrarsi frontalmente”.

Scampato alla sedia elettrica per essersi dichiarato colpevole dell’omicidio, Mark Chapman, depresso cronico, fu condannato alla pena minima di 20 anni e all’ergastolo. Scontata la prima parte, nel 2000 gli venne rifiutata la libertà sulla parola così come ad agosto del 2019 la commissione giudicante gli ha negato la libertà condizionata.

Il mio nome è Connery, Sean Connery

Scomparso l’attore scozzese reso famoso al grande pubblico per le interpretazioni dell’agente segreto 007.

Sean Connery: l’attore scozzese è scomparso il 31 ottobre scorso all’età di 90 anni nella sua residenza alle Bahamas (ph dal sito Messaggero.it)

di Enrico Daniele.    

31-10-20 Una data che non dimenticheranno facilmente i fans dell’agente segreto più famoso al mondo, James Bond, il personaggio uscito nel 1953 dalla penna di Ian Fleming e portato al successo da Sean Connery, scomparso sabato scorso all’età di 90 anni nella sua residenza alle Bahamas.

Anche gli appassionati di numerologia si sono affrettati ad osservare che la somma dei numeri che compongono la data di morte di Connery, straordinariamente dà come risultato 007, quasi che una mano soprannaturale abbia voluto unire per sempre il ruolo e l’attore scozzese.

Uno scherzo beffardo del destino, perché Connery amava e odiava allo stesso tempo quel ruolo che lo aveva sì fatto diventare famoso in tutto il mondo, ma che rischiava di identificarlo solo per le sue sette – ancora lo stesso numero che si ripete – interpretazioni dell’agente segreto con licenza di uccidere, al servizio di sua Maestà la Regina.

Perciò, l’attore scozzese, già dopo la quinta apparizione con il tipico smoking nero in “Agente 007 – Si vive solo due volte” del 1967, avvertì la produzione che non avrebbe più proseguito nell’interpretare il personaggio di James Bond. Tuttavia, dopo che il suo sostituto, l’australiano George Lazenby, non ebbe i favori del pubblico nell’interpretazione del sesto capitolo della saga, “Agente 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà” del 1969, i produttori Broccoli e Saltzman condussero una estenuante trattativa e convinsero Connery a recitare ancora in “Agente 007 – Una cascata di diamanti” del 1971, prima di cedere il ruolo a Roger Moore. Ma Connery tornerà ancora una volta, stavolta veramente l’ultima, nel remake di “Thunderball” interpretando 007 in “Mai dire mai” del 1983, film fuori dal circuito ufficiale della Broccoli & Saltzman.

Entrato nell’immaginario collettivo come icona di stile e indiscusso sexy-symbol, scaltro, ironico, seducente e anticonvenzionale nei panni di 007, svincolatosi definitivamente dal personaggio, Connery diede il meglio di sé anche in ruoli diversi e più impegnativi, dimostrando capacità e versatilità lavorando con molti celebri registi.

Memorabile la sua interpretazione di Guglielmo da Baskerville ne “Il nome della rosa” diretto di Jean-Jacques Annaud, tratto dall’omonimo romanzo scritto da Umberto Eco. Connery vince il Premio BAFTA come miglior attore. Però la definitiva consacrazione, suggellata dall’Oscar al miglior attore non protagonista, resta quella nel capolavoro di Brian de Palma “The Untouchables – Gli intoccabili”, pellicola del 1987 con protagonista Kevin Costner dove il divo scozzese interpreta il ruolo dell’incorruttibile poliziotto Jimmy Malone.

Nel 1989 è il papà di Harrison Ford nel film “Indiana Jones e l’ultima crociata” diretto da Steven Spielberg, mentre vestirà i panni di ladro, complice di Catherine Zeta Jones, in “Entrapment” del 1999 di Jon Amiel.

Ma il grande pubblico lo ricorda anche nel fantascientifico “Zardoz” di John Boorman, giudicato il miglior film di fantascienza degli anni ’70, nell’ “Assassinio sull’ Orient-Express” del 1974 per la regia di Sidney Lumet e, più in là nel tempo, in “Highlander – L’ultimo immortale” del 1986 a fianco di Christopher Lambert o nei panni di Marko Ramius, il comandante del sommergibile sovietico in “Caccia ad Ottobre Rosso” del 1990.

Nella vita privata Connery era stato sposato una prima volta con l’attrice australiana di origini italiane, Diane Cilento, dalla quale ha avuto un figlio, Jason (1963) e, dopo il divorzio, si era risposato nel 1975 con la pittrice franco-marocchina Micheline Roquebrune, che gli è rimasta a fianco sino alla sua morte e con la quale negli anni ’90 si era definitivamente trasferito alle Bahamas.

Forte difensore delle politiche a protezione del clima e sostenitore del progetto di Al Gore, Connery è stato anche strenuo sostenitore della campagna per l’indipendenza della Scozia. Sono famose le sue uscite pubbliche in kilt e lo “Scotland Forever”, il tatuaggio sul braccio destro impresso sin dai tempi del suo arruolamento nella Marina Militare britannica.

Ciononostante, nel 2000, la Regina Elisabetta II lo aveva insignito del titolo di “Sir”.