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“DallAmeriCaruso. Il concerto perduto”

Per gli 80 anni dalla nascita di Lucio Dalla il docu-film sarà nelle sale cinematografiche il 20, 21 e 22 novembre.
A Padova al Porto Astra, al Lux e al The Space Cinema di Limena.
di Enrico DANIELE
(fonte Radio Capital)

La copertina del vinile in ristampa

Era il 1986 e al Village Gate di New York, che fu tempio del jazz, Lucio Dalla si esibiva in uno straordinario concerto live le cui riprese, in parte perdute, sono state recuperate, restaurate e rimasterizzate, ora a disposizione del pubblico nei giorni 20, 21 e 22 novembre in moltissime sale italiane.

A 80 anni dalla nascita, questo è l’ennesimo tributo al grande artista bolognese, scomparso a Montreux (sede di un celebratissimo festival jazz) il 1° marzo del 2012.
Il film, per la regia di Walter Veltroni, ripercorre i momenti magici di quel concerto, ma racconta anche la genesi di “Caruso”, brano portante dell’album “DallAmeriCaruso”, pietra miliare della discografia di Dalla con più di 38 milioni di copie vendute nel mondo.
Dalla scrisse la canzone successivamente al concerto live di New York.

Si trovava al largo del golfo di Sorrento, quando restò in panne col “Catarro”, la sua barca, e fu rimorchiato in porto. Trascorse la notte all’Hotel Excelsior dove alloggiò nella stanza che fu di Enrico Caruso. Dal racconto che ne fece il barista dell’hotel, nacquero testo e musica della canzone che è un tributo ad un amore “impossibile” (la leggenda vuole che Caruso, ormai malato ed in fin di vita si fosse innamorato di una sua allieva), ma anche un inno alla canzone napoletana e melodica italiana.

Un capolavoro che mancava al live registrato a New York, che Dalla introdusse cambiando il nome originario all’album (DallAmerica) che diventò appunto “DallAmeriCaruso”, dove Dalla è accompagnato dalla sua band, gli Stadio.

Nel docu-film sono molti i personaggi che danno la loro testimonianza, ripercorrendo sia i momenti del concerto live ma anche quelli della scrittura di “Caruso”.
Per gli appassionati, è prevista anche l’uscita (il 1° dicembre – Sony Music) di un doppio cd, un doppio vinile (una versione in nero e una colorata) del concerto dal titolo “DallAmeriCaruso – Live at Village Gate, New York 23/03/1986”.

Lucio Dalla, 4 marzo 1943

Una delle canzoni più amate del cantautore bolognese, scomparso il 1° marzo 2012
di Enrico Daniele

Oggi, Lucio Dalla avrebbe compiuto 77 anni. Infatti, lo straordinario ed eclettico cantautore era nato a Bologna il 4 marzo del 1943.
La sua morte improvvisa, per infarto, era avvenuta nella notte del 1° marzo 2012 a Montreux, cittadina Svizzera affacciata sul Lago di Ginevra, dove Dalla si era esibito la sera prima.

4 marzo 1943”, contrariamente a quanto si possa pensare, non è una canzone autobiografica. Scritta in collaborazione con Paola Pallottino (della paroliera romana altri famosi brani di Dalla: “Il gigante e la bambina”, “Il bambino di fumo”, “Un uomo come me” e “Anna Bellanna”) racconta la storia di una ragazza madre, rimasta incinta per un amore passeggero con un soldato alleato.

Prima dell’uscita al Festival di Sanremo del 1971, cantata anche dall’Equipe 84 e classificatasi terza, la canzone subì la pesante scure della censura sia nel titolo, inizialmente “Gesubambino”, che nel testo. Il brano, nella stesura originale, era stato presentato da Dalla nel dicembre del 1970 al Duse di Bologna, dove la frase “E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino” era invece “E anche adesso che bestemmio e bevo vino, per ladri e puttane sono Gesù Bambino”.

Sono molte le versioni della canzone.
All’estero è stata portata al successo da Maria Betania e Chico Buaque de Hollanda, nei paesi di lingua spagnola. Una versione fu cantata anche da Dalida e un’altra da Francesco De Gregori che la pubblicò col testo originale nell’album “Sotto il vulcano”.

4 marzo 1943” resta uno dei brani simbolo che, al pari dello zucchetto di lana e degli occhiali tondi, rappresentano l’icona caratteristica del grande e amato cantautore bolognese.

Il testo di “4 marzo 1943”:

Dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare
parlava un’altra lingua, però sapeva amare
e quel giorno lui prese a mia madre, sopra un bel prato
l’ora più dolce, prima d’essere ammazzato.

Così lei restò sola nella stanza, la stanza sul porto
con l’unico vestito, ogni giorno più corto
e benché non sapesse il nome e neppure il paese
mi aspettò come un dono d’amore, fino dal primo mese.

Compiva sedici anni, quel giorno la mia mamma
le strofe di taverna, le cantò a ninna nanna
e stringendomi al petto che sapeva, sapeva di mare
giocava a far la donna, col bambino da fasciare.

E forse fu per gioco, e forse per amore
che mi volle chiamare, come Nostro Signore
della sua breve vita il ricordo, il ricordo più grosso
è tutto in questo nome, che io mi porto addosso

e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino
per la gente del porto io sono, Gesù Bambino
e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino
per la gente del porto io sono, Gesù Bambino.